Fabrizia Ramondino

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Napoli, Campania, Italia.

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In quel pezzo di Eden un albero di legnasante si stagliava nell’aria cristallina, Si sentì come l’occhio iscritto nel divino triangolo e con amore implorante fissò la città che, indorata dal primo sole, scivolava nel mare. Fino a sei anni dal balcone di Capodimonte dove viveva con la nonna, l’aveva vista sempre e solo dall’alto; quel prezioso tappeto era intessuto di fili rossi, gialli, verdi, rosa, viola; quelli blu e celesti si confondevano fra tanto cielo e mare; aveva cercato invano fra gli azzurri e i violetti l’indaco, puntando il dito fra di essi come ad aprire una fessura che lasciasse trasparire il misterioso colore. E tutti raffiguravano forme geometriche, arabeschi senza centro né periferia, senza inizio né fine; in certe ore le maioliche gialle delle cupole e le vetrate delle verande fiammeggiavano come oro; i vetri di alcune finestre parevano frammenti di specchio e lacrime incorporate nel prezioso tessuto. Aveva immaginato allora che un giorno, quando avesse compiuto sette anni, si sarebbe seduta sul tappeto e in compagnia di un saggio vecchissimo, vestito di bianco e dalla lunga barba, avrebbe viaggiato anche lei, prestando ascolto alle sue storie e ai suoi ammaestramenti. Ma quando per la prima volta era scesa a Napoli con la nonna per andare da una sarta nei Quartieri Spagnoli, aveva provato un profondo disinganno: tutto là sotto era grigio, disordinato, brulicante. Aveva pensato che quello fosse il rovescio del tappeto; e infatti con infinita pazienza donne, bambini, vecchi, ne annodavano e intrecciavano i fili, forse non sapendo nemmeno quale meraviglioso disegno stessero componendo con il loro instancabile lavorio. Da quel giorno, sebbene abitasse così in alto e vivesse al di sopra del tappeto, aveva sentito che una parte di lei era rimasta in qualche modo lì sotto.